DI SPILINGA
Il paese di produzione, per eccellenza è Spilinga da cui ne prende la denominazione.
La ‘Nduja si ottiene dalla miscela di piccoli pezzetti di grasso, di carni suine ricavati dalla spalla, dalla coscia, dalla testa e dalla sottopancia (lardo, pancetta, guanciale), sapientemente dosate e lavorate da mani esperte, con l’aggiunta di peperoncino rosso (dolce e piccante) essicato e finemente macinato, è conservata nel budello cieco (orba), per poi essere affumicata.
Proprio per la spiccata tipicità, ha suscitato interesse e numerosi apprezzamenti nelle fiere ed esposizioni nazionali e internazionali. La ‘Nduja oggi ha successo perché esce fuori dagli schemi dell’insaccato classico, in quanto si spalma invece di essere affettato; si degusta come antipasto sul pane o sui crostini e serve a preparare alcuni primi piatti classici, come i fileja alla ‘nduja e i fagioli con la ‘nduja. È un patè molto versatile che può rientrare anche in un contesto elegante di degustazioni con vini ed oli pregiati.
Il nome deriva dal Francese andouille, “frattaglie”, perché nel passato si produceva con peperoncino e frattaglie di maiale, è stato introdotto dagli Spagnoli nel cinquecento insieme al peperoncino ma si presume che i Francesi nell’era napoleonica lo introdussero in Calabria.
Scopri come è fatta.

Dopo aver selezionato le parti del maiale destinate alla preparazione dell’insaccato, si effettua la dissossatura e la cubettatura, con masse muscolari e di grasso in forme quasi omogenee. Si esegue poi la tritatura della carne, contestualmente a quella del peperoncino che conferisce quel colore rosso tipico del prodotto. L’impastatura di carne, peperoncino e sale può essere manuale o meccanica. Una volta amalgamato, l’impasto viene fatto riposare per qualche ora in recipienti, possibilmente di acciaio.

L’impasto amalgamato viene predisposto per essere insaccato in involucri naturali o artificiali. Normalmente si usano gli intestini di maiale. Gli insaccati così prodotti vengono legati nelle porzioni terminali per evitare la presenza di aria, ugualmente lungo il decorso dell’intestino, per avere un impasto compresso e predisposto alla stagionatura. L’impasto che viene insaccato nel cieco del maiale o del bovino, costituendo la classica forma di ‘nduja, è chiamato in vernacolo “orba”, cioè cieco.

L’operazione di affumicatura rappresenta il primo stadio della conservazione del prodotto e viene effettuata esponendo gli insaccati per alcuni giorni, da cinque a sette, in locali dove si fa bruciare della legna altamente fumogena e non resinosa o aromatica. Per la ‘nduja viene impiegato principalmente il legno di ulivo, quercia e faggio. Attraverso l’affumicatura si ottengono anche vantaggi sanitari: si controllano ammuffimenti e si prevengono gli insediamenti di parassiti. Nelle produzioni moderne questo avviene tramite sistemi igienici e con condizionamenti ambientali.